STUDIO DI PSICOLOGIA

Dott.ssa Elena Notaristefano

Psicologa Psicoterapeuta

Albo A degli Psicologi n° 15049

"La vita non è qualcosa

a cui puoi dare una risposta oggi.

Si dovrebbe godere il processo di attesa,

il processo di diventare

quello che sei.


Non c'è nulla di più delizioso

di piantare semi

e non sapere

che tipo di fiori cresceranno"



Milton H. Erickson

Aree di Intervento

Psicoterapia e Terapia E.M.D.R.

Lo scopo della psicoterapia è promuovere un cambiamento tale da alleviare in modo stabile alcune forme di sofferenza emotiva.

Tramite la psicoterapia è possibile quindi trattare i più svariati disturbi e semplici difficoltà: essa si basa sulla consapevolezza che la soluzione è già dentro di noi: bisogna solo attivarla

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Ipnosi

"Nello stato di trance puoi lasciare che la tua mente inconscia passi in rassegna il vasto deposito di cose che hai appreso, nel corso della tua vita. Ci sono molte cose che hai imparato senza saperlo. E molte delle conoscenze che ritenevi importanti a livello conscio sono scivolate nella tua mente inconscia."

(Milton H.M. Erickson)

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Neuropsicologia

La Neuropsicologia Clinica è la disciplina che studia i disturbi delle abilità cognitive e dei deficit emotivo-motivazionali causati da lesioni o disfunzioni del sistema nervoso centrale.

Lo Psicologo esperto in Neuropsicologia si occupa quindi di valutazione, diagnosi e riabilitazione di persone con disturbi cognitivi.

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Tecniche di Rilassamento

Le tecniche di rilassamento psico-corporee perseguono l’obiettivo principale di ristabilire un contatto sano di comunicazione mente-corpo e ritrovare benessere, serenità, equilibrio.

Comprendono le tecniche di respirazione, il rilassamento progressivo di Jacobson e il Training Autogeno.

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Parlare della propria sofferenza a qualcuno non è mai facile.

A volte passano mesi, addirittura anni, prima di fare questo passo.

Andare dallo psicologo non significa assolutamente essere "matti" , bensì tutto il contrario: è sana la persona che, riconoscendo un disagio, decide di affidarsi ad un professionista per prendersi cura di sé e della propria salute mentale.


Ma come faccio a capire se ho bisogno di uno psicologo?


Se stai attraversando un periodo difficile e vuoi ritrovare serenità e felicità


Se hai dei sintomi (come ad esempio ansia, depressione, stress...) che aumentano sempre di più in intensità e in frequenza e iniziano ad incidere negativamente nella tua vita


Se senti di dover risolvere difficoltà affettive, sociali, familiari, relazionali, scolastiche, lavorative


Se hai subito un lutto particolarmente doloroso o un evento traumatico ancora da elaborare


Se vuoi liberarti da ansie, stress, impulsi, pensieri, paure, difficoltà, idee e sentimenti negativi, come ad esempio tristezza, paure irrazionali, idee fataliste sul futuro


Quando noti cambiamenti nel tuo comportamento, come sbalzi d'umore improvvisi, aumento dell'aggressività, o al contrario apatia e immobilità


Se vuoi interrompere alcune dipendenze, come fumo, alcool, sostanze


Se vuoi conoscerti meglio  e avere una migliore consapevolezza di te, degli altri e migliorare la tua autostima, il tuo umore e il tuo carattere

Anche il più grande dei viaggi

inizia con un solo piccolo

passo in avanti

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Articoli recenti

Autore: Elena Notaristefano 27 marzo 2023
Qualche settimana fa mi sono imbattuta, in un gruppo di amanti dell’equitazione su Facebook (i cavalli: la mia grande passione accanto alle neuroscienze), in un post di un padre preoccupato perché la figlia tredicenne, in seguito ad una caduta da cavallo (la sua prima caduta), aveva iniziato a manifestare dei comportamenti “strani”: faticava a recarsi in scuderia, non voleva salire a cavallo, se l’istruttore riusciva miracolosamente a metterla in sella non era in grado di svolgere un normale allenamento, che interrompeva a causa di sintomi ansiosi, riusciva a montare solo in un determinato campo ecc… Il padre, ancora inesperto riguardo al mondo vero dell’equitazione, chiedeva quindi se a distanza di oltre un mese fosse normale un comportamento del genere e chiedeva consigli per aiutare a la figlia a superare questa situazione. Come potete immaginare, il 90% dei commenti verteva sul fatto che cadere da cavallo, facendo equitazione, è assolutamente normale: la ragazzina deve superare con le sue forze la paura e sforzarsi di rimontare in sella come prima. Un ragionamento assolutamente corretto, perché tutti noi, me compresa, siamo andati incontro a cadute (a volte anche rovinose), e tutti noi siamo risaliti in sella, con un po’ di timore, ma tutto sommato senza alcuna grave conseguenza a livello di approccio allo sport. Ma… siamo proprio certi che questo valga sempre e per tutti? Non ho potuto non rispondere a quel genitore preoccupato, e non da amazzone, ma da psicoterapeuta esperta in psicotraumatologia. Riflettendoci, quella caduta, probabilmente per una serie di fattori, per quella ragazzina ha rappresentato qualcosa di più di un semplice incidente di percorso, ma un trauma , che ad oggi a quanto pare non è stato elaborato. Da cosa l’ho intuito? Ad esempio, i comportamenti di evitamento, del tutto nuovi e inaspettati, che ha messo in atto: non voler andare in maneggio, il non voler fare lezione, il non voler fisicamente stare vicino al suo amato pony. Dal fatto che avesse una sintomatologia ansiosa apparentemente inspiegabile tale da “bloccarla” nella quotidianità. Le crisi di pianto, l’angoscia. Ho consigliato quindi al padre di far aiutare la figlia da un clinico, da uno psicologo, per capire effettivamente quale fosse il nucleo del problema ed elaborare l’evento. A quel punto, come potete immaginare, lo stupore generale: “Cadere da cavallo può essere un trauma?!?! Addirittura?!”. E ancora “Psicoterapia per una cosa così banale? Ma non esageriamo!”, eccetera. Qualcosa di così banale, certo. Cadere da cavallo, litigare con una persona cara, essere bocciati ad un esame. O ancora, subire un'umiliazione, fare un piccolo incidente in auto. Eventi come questi, se vogliamo "quotidiani", possono essere “traumatici”? La risposta è SI, tutto può essere un trauma. Vediamo perché. COS'E' UN TRAUMA? Nel linguaggio comune, ci si riferisce ad un trauma parlando di un evento che, per gravità e intensità, va a sconvolgere la vita di chi, ahimè, lo ha vissuto. Ne sono un esempio i terremoti, le alluvioni, i disastri aerei. Si ignora però che esiste anche un altro tipo di trauma. Per capirlo facciamo un passo indietro e analizziamo l’etimologia della parola. Cosa significa “trauma”? Trauma deriva dal greco e vuol dire “ ferita ”. Il trauma psicologico, dunque, può essere definito come una “ferita dell’anima”, come qualcosa che rompe il consueto modo di vivere e vedere il mondo e che ha un impatto negativo sulla persona che lo vive . Potete quindi capire che esistono diverse forme di esperienze potenzialmente traumatiche a cui può andare incontro una persona nel corso della vita. Ci sono come abbiamo detto i traumi con la T maiuscola, i “ grandi traumi ”, ovvero tutti quegli eventi che portano alla morte o che minacciano l’integrità fisica propria o delle persone care (ad esempio disastri naturali, abusi, incidenti etc.) Ma accanto a questi ci sono i “ piccoli traumi ” o “ t ”, ovvero quelle esperienze soggettivamente disturbanti che sono caratterizzate da una percezione di pericolo non particolarmente intesa. Si possono includere in questa categoria eventi come un’umiliazione subita, delle interazioni brusche con delle persone significative durante l’infanzia, o, perché no, una “banale” caduta da cavallo. Allora, cosa rende o no un evento un trauma? L’ago della bilancia non è mosso dalla gravità dell’evento, né dal giudizio clinico del terapeuta: chi decide cosa è o non è un trauma è la persona stessa che lo ha vissuto. O meglio, come vedremo poi, il suo cervello . Nonostante gli eventi sopra descritti riferiti alle due tipologie di trauma siano molto differenti, la ricerca scientifica ha dimostrato che le persone reagiscono, dal punto di vista emotivo, mostrando gli stessi sintomi. C’è da dire, però, che non tutte le persone che vivono un’esperienza traumatica reagiscono allo stesso modo. Le risposte subito dopo uno di questi eventi possono essere moltissime: ad un estremo c’è chi recupera completamente e ritorna ad una vita normale in un breve periodo di tempo in maniera del tutto naturale (e vedremo perché) e, all’estremo opposto, c’è chi invece sperimenta reazioni più gravi, quelle che impediscono alla persona di continuare a vivere la propria vita come prima dell’evento traumatico, fino ad arrivare a manifestare i sintomi del Disturbo da Stress Post Traumatico. COME REAGISCE IL NOSTRO CERVELLO DI FRONTE AD UN TRAUMA? Quando siamo esposti a segnali di pericolo ci sentiamo minacciati e siamo portati in maniera naturale a preparare una risposta adattativa . La percezione della paura e le conseguenti risposte comportamentali sono cruciali per l’adattamento all’ambiente e per la sopravvivenza delle specie. L’attivazione del sistema nervoso alla percezione del pericolo determina una reazione di lotta, di fuga o di freezing, tutte reazioni fisiologiche adattative allo stress. In pratica, siamo “fatti” per gestire gli eventi stressanti senza riportare gravi conseguenze. Potremmo dire, quindi, che siamo naturalmente portati per cadere da cavallo e rimontare immediatamente in sella. Le regioni cerebrali coinvolte in questo processo sopra descritto sono parte di un sistema complesso, chiamato sistema limbico , filogeneticamente antico, che interviene nell’elaborazione dei comportamenti correlati, appunto, con la sopravvivenza della specie: elabora le emozioni e le manifestazioni vegetative che a esse si accompagnano, ed è coinvolto nei processi di memorizzazione. Ma - senza addentrarci troppo nei meandri della neurofisiologia – cosa succede quindi subito dopo aver vissuto un evento traumatico? Succede che il nostro organismo e il nostro cervello vanno incontro ad una serie di reazioni di stress fisiologiche, che coinvolgono le strutture sopra citate, che nel 70-80% dei casi tendono a risolversi naturalmente senza un intervento specialistico. Questo avviene perché l’innato meccanismo di elaborazione delle informazioni presente nel cervello di ognuno di noi è stato in grado di integrare le informazioni relative a quell’evento all’interno delle reti mnestiche del nostro cervello, rendendolo “digerito”, ricollocato in modo costruttivo e adattivo all’interno della nostra capacità di narrare l’accaduto. E se questo invece non avviene? E' chiaro quindi che l’essere stato vittima di un evento traumatico porta a conseguenze che possono essere riscontrabili non solo a livello emotivo, ma che lasciano il segno anche nel corpo di chi è sopravvissuto a uno di questi eventi. Le ricerche scientifiche hanno dimostrato che le persone che hanno vissuto traumi importanti nel corso della vita portano i segni anche a livello cerebrale. Ma per essere più chiari e leggeri, facciamo un esempio. Ipotizziamo che la nostra giovane amazzone - che chiameremo Sara - quel giorno sia caduta da cavallo perchè un forte rumore aveva fatto spaventare - e di conseguenza sgroppare e scappare - il suo pony. Ipotizziamo che oggi sia una giornata buona e che Sara si sia fatta coraggio e sia montata in sella. Tutto procede in maniera tranquilla, lei è in campo, il suo pony non mostra segni di nervosismo, l'istruttore spiega gli esercizi. Ma ipotizziamo che ad un certo punto una folata di vento faccia cadere qualcosa - provocando un rumore secco, esattamente come è accaduto il giorno dell'incidente. Il cavallo fa quello che qualsiasi cavallo farebbe in quel momento: modifica istantaneamente il proprio atteggiamento, alzando la testa e puntando le orecchie in direzione del rumore (piccolo excursus: i cavalli sono animali predati e hanno un cervello molto più basic del nostro: lo stimolo sensoriale, in questo caso il rumore, arriva al sistema limbico, che lo analizza, e da lì passa immediatamente alla corteccia motoria per mettere in atto una reazione adattiva di fuga, senza passare dal giudizio della corteccia prefrontale - tenete a mente questo nome, è importante - che decide se il pericolo è effettivo o meno...semplicemente perchè ne sono sprovvisti. Ovviamente la selezione naturale, l'addestramento e la fiducia nel proprio cavaliere mitigano in grandissima percentuale questa reazione). Sara in passato ha affrontato questa situazione centinaia di volte: sa che il rivolgere l'attenzione al rumore non corrisponde ad una reazione di paura nel suo pony, e quindi ogni volta è rimasta calma. A dire il vero, nella stragrande maggioranza dei casi non si è nemmeno accorta di questo istantaneo e impercettibile cambiamento nel suo cavallo, che ha poi continuato a passeggiare tranquillo. Ma oggi, dopo quella caduta traumatica, cosa succede nel cervello di Sara? Ipotizziamo che, conseguentemente al trauma ed al passare del tempo, il cervello di Sara abbia iniziato una lenta modifica. Ci sono delle strutture cerebrali che funzionano diversamente da prima, in particolare due: l'amigdala e la corteccia prefrontale. L' amigdala è una piccola struttura che fa parte del sistema limbico, ed è la sentinella che analizza gli stimoli sensoriali in entrata e decide se si trattano o meno di una minaccia. Quando accade qualcosa c i dice in pratica se scappare a gambe levate o meno. La corteccia prefrontale (che è quell'area di cui vi parlavo prima di cui i cavalli sono sprovvisti), al contrario, ha il compito di risolvere i problemi, pianificare e moderare il nostro comportamento, decidere cosa è una minaccia e cosa non lo è. In pratica è la "parte razionale" del nostro cervello. Solitamente, lo stimolo sensoriale (in questo caso il rumore) arriva alla "stazione centrale" del nostro cervello, ossia il talamo, che invia lo stimolo in due direzioni: all'amigdala, che decide in pochi millisecondi di cosa si tratta, e alla corteccia prefrontale, che decide se effettivamente il pericolo c'è o no. La reazione dell'amigdala è ovviamente molto più veloce, perchè nella malaugurata ipotesi in cui la minaccia per la sopravvivenza sia reale, l'organismo per mettersi in salvo deve mettere in atto istantaneamente una reazione di lotta o fuga attraverso un rilascio a cascata di alcuni ormoni. A quel punto però interviene la corteccia prefrontale, che ha l'ultima parola: se la minaccia non c'è, l'amigdala viene inibita - tranquillizzata - e la reazione di paura non si presenta. Ma nel cervello di Sara accadono due cose contemporaneamente: l'amigdala funziona molto più del dovuto, mentre la corteccia prefrontale molto meno. Qual è la conseguenza? Che quel rumore, quelle orecchie puntate in avanti, vengono percepite come la peggiore delle minacce e vogliono dire una sola cosa " ATTENZIONE!!!!!!!! PERICOLO!!! ". Da lì è un attimo: palpitazioni, sudorazione, dispnea, agitazione incontrollabile...il vero e proprio panico. In pratica, senza un adeguato intervento della corteccia prefrontale, l'amigdala continuerà a inviare un segnale di pericolo anche di fronte a qualcosa di neutro o innocuo, con una conseguente reazione di paura e panico assolutamente spropositata rispetto a ciò che sta accadendo. Questo è solo un esempio estremamente semplificato, ovviamente. Sono molte di più le strutture che subiscono una modificazione dopo un trauma: all'amigdala e alla corteccia prefrontale aggiungiamo l'ippocampo, il talamo, l'insula, il cervelletto, l'area di Broca... Queste scoperte, avvenute negli ultimi anni grazie all’utilizzo di strumenti di indagine sempre più sofisticati, gettano luce sulla stretta connessione mente-corpo. Ciò che ha un impatto emotivo molto forte si ripercuote anche a livello corporeo, quindi, risulta evidente che intervenire direttamente sull’elaborazione di questi eventi traumatici abbia un effetto anche la neurobiologia del nostro cervello. I SINTOMI DEL TRAUMA Alcune persone continuano a soffrire per un evento traumatico anche a distanza di moltissimo tempo dall’evento stesso. Spesso riportano di provare le stesse sensazioni angosciose e di non riuscire per questo motivo a condurre una vita soddisfacente dal punto di vista lavorativo e relazionale. In questi casi, quindi, il passato è presente. Anche se transitorie, tali reazioni possono essere molto sgradevoli e sono tipicamente caratterizzate da fenomeni che si possono raggruppare in tre ambiti principali: il ricordo dell’esposizione traumatica (flashback, pensieri intrusivi, incubi: la percezione di rivivere ancora e ancora l'evento); l’attivazione (ipervigilanza, insonnia, agitazione, irritabilità, impulsività e rabbia); la disattivazione (freezing, evitamento, fuga, confusione, derealizzazione, dissociazione). Queste reazioni fisiologiche allo stress sono per definizione auto-limitanti e in generale provocano una modesta compromissione funzionale nel tempo. Ma, per una minoranza significativa della popolazione, questo quadro sintomatologico può arrivare ad aggravarsi fino a delinearsi in un Disturbo da Stress Post-Traumatico, che è un disturbo caratterizzato appunto dal “rivivere” continuamente l’evento traumatico, continuando a provare tutte le emozioni, le sensazioni ed i pensieri negativi esperiti in quel momento. Quando ci si rende conto che le reazioni sono di questo tipo, che la sofferenza è significativa e che "il tempo non migliora le cose" è necessario chiedere aiuto ad uno specialista (vedi la sezione dedicata alla psicoterapia e alla terapia E.M.D.R. ). Come è finita la storia di Sara? Il padre mi ha contattata, svelandomi che la figlia, fin da piccola, soffriva di attacchi d’ansia e che aveva iniziato a montare a cavallo proprio su indicazione dello psicoterapeuta. Io non so cosa di questo incidente l’abbia così colpita - ferita, a questo punto direi. Non so se si tratti di un trauma emotivo, psicologico, fisico. Magari un insieme dei tre. Quello che so è che ci sono molti elementi che portano a pensare che la sua mente si sia bloccata su questo evento. Ma non temete, nulla è perduto: con l’aiuto giusto, con il giusto terapeuta e le giuste tecniche di intervento non esiste trauma che non possa essere elaborato. So che vi state chiedendo: ma alla fine la nostra piccola amica è tornata a galoppare felice in sella al suo amato destriero? Sono certa che, se non oggi, questo accadrà domani. Bibliografia https://www.stateofmind.it/2017/07/cervello-traumatizzato/ https://www.emdr.it https://www.istitutobeck.com/neuroscienze-trauma?sm-p=1309862522 L. Musella, “Evoluzione dell’EMDR. Da tecnica ad approccio terapeutico”, Hogrefe Editore, Firenze, 2022. Psych Central. (2017). The 3 Parts of Your Brain Affected by Trauma. Psych Central. Retrieved on July 4, 2017 Kessler, R. C. (1995). Posttraumatic Stress Disorder in the National Comorbidity Survey. Archives of General Psychiatry, 52(12), 1048.
Autore: Elena Notaristefano 26 aprile 2021
La gravidanza è uno dei momenti più delicati nella vita di una donna e come tale può provocare emozioni anche contrastanti e lontane fra loro: gioia, aspettativa, curiosità, ma anche timore, preoccupazione o ansia. Molto spesso questi sentimenti vengono “amplificati” dalla condizione bio-ormonale tipica della gravidanza stessa e possono interferire sulla normale e innata capacità che ogni donna ha di portare in grembo e dare alla luce il proprio bambino. Inoltre, a ciò spesso si aggiunge la paura del dolore, che nella nostra cultura viene tramandata a livello popolare. Perché l'ipnosi è utile per la preparazione al parto? Come ho già accennato negli articoli precedenti, l’ipnosi sfrutta la naturale capacità del cervello di “rilassarsi” e di “andare in trance”. Non è nulla di esoterico né di pericoloso: la trance ipnotica non è uno stato alterato di coscienza, bensì uno stato modificato. Durante la nostra giornata infatti il nostro cervello modifica continuamente il proprio stato di coscienza, in conseguenza ad oscillazioni delle onde cerebrali. Basti pensare, per esempio, a quando ci capita di rilassarci, perché particolarmente stanchi (onde Alpha, veglia ad occhi chiusi, 8–13,9 hertz), o quando lavoriamo, facciamo sport o chiacchieriamo con un conoscente (onde Beta, veglia cosciente, 14-30 hertz), o quando dormiamo profondamente (onde Delta, sonno profondo, 0,5-3 hertz). Quello che accade durante la trance ipnotica non è nulla di strano o magico: semplicemente le onde cerebrali “rallentano”, passando dalle onde Beta della veglia cosciente alle onde Tetha (4-8 hertz), tipiche dello stato ipnagogico e ipnopompico, cioè dei minuti che precedono l’addormentamento e il risveglio. Questo provoca nella persona un piacevole rilassamento, più o meno profondo, e, contemporaneamente, permette alla parte più libera e creativa della nostra mente di “venire a galla”, proprio come quando meditiamo o sogniamo. L’ipnosi, per la sua capacità di indurre il rilassamento da una parte e uno stato di controllo e sicurezza dall’altra, permette alla futura mamma di affrontare con tutta serenità il momento del travaglio e del parto, rendendola, inoltre, completamente partecipe e attiva nel gestirlo. E il dolore? Grazie all’ipnosi gli effetti dell’ansia e della paura sulla percezione del dolore vengono drasticamente ridotti: il dolore, che ha sempre una grande componente emotiva, non viene annullato, ma molto meglio tollerato . La motivazione è semplice: la trance ipnotica “sposta” l’attività celebrale dall’emisfero sinistro, quello razionale, a quello destro, sede della creatività e della mente inconscia, aumentando in questo modo la produzione di endorfine e conseguentemente una diminuzione della percezione del dolore. Si è potuto poi riscontrare che partorendo con l’ipnosi diminuiscono i tempi del travaglio, gli interventi sul canale vaginale, le emorragie e i tempi di ripresa della neomamma. Effetti positivi sono stati riscontrati anche sul neonato: i bambini nati con l’aiuto dell’ipnosi mostrano un indice di Apgar (indicativo dello stato di benessere neonatale) più alto. Come funziona il corso di preparazione al parto con l'ipnosi? La preparazione al parto in ipnosi è strutturata come un vero e proprio "corso": si compone di 8 sedute della durata di 60 minuti ciascuna, a partire circa dalla 28esima settimana di gestazione. Durante ogni seduta verrà effettuata un'induzione ipnotica, grazie alla quale la futura mamma imparerà delle vere e proprie tecniche per gestire al meglio il travaglio. Ogni induzione sarà registrata, in modo tale da poter essere riascoltata più e più volte, per permettere alla paziente di consolidare sempre più ciò che ha imparato durante il corso e arrivare pronta e preparata al momento del travaglio. In sostanza, grazie all’ipnosi è possibile diminuire i tipici stati d’ansia, stress e paura che si presentano prima del parto e durante il travaglio. Con la giusta preparazione e consapevolezza, la donna impara a gestire il dolore diventando pienamente partecipe e attiva in un momento unico e speciale, che è la nascita del proprio bambino.
Autore: Elena Notaristefano 3 aprile 2021
Partiamo dal presupposto che parlare della propria sofferenza o del proprio disagio non è mai semplice. Poi arriva finalmente il momento, a volte dopo mesi o anni, in cui ci decidiamo a chiedere aiuto. Ed è a quel punto che ci facciamo la fatidica domanda: ora a chi mi rivolgo? Una delle domande che infatti amici, parenti e, in generale, tutte le persone mi rivolgono più spesso quando scoprono che sono una psicologa è proprio questa: ma qual è la differenza fra psicologo e psichiatra? E fra psicologo e psicoterapeuta ? E cosa mi dici del neuropsichiatra ? E lo psicanalista allora??? Cercherò ora di fare ordine, con un breve riassunto delle differenze fra le figure professionali che si occupano di benessere e salute mentale. Inizio con il dire che tutte queste professioni sono professioni sanitarie riconosciute dallo Stato italiano con abilitazione a svolgere attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. PSICOLOGO Innanzitutto partiamo con il precisare che la Psicologia è una scienza, una scienza nata nel 1879 a Lipsia da Wundt. Per diventare Psicologo in Italia è necessario conseguire una Laurea Universitaria di cinque anni in Psicologia. Per poter esercitare la professione è necessario, dopo la laurea, svolgere un anno di tirocinio , sostenere un Esame di Stato ed iscriversi all’ Ordine Nazionale degli Psicologi. Arrivati a questo punto si è ufficialmente Psicologi. Ma non è finita qui: infatti questo è "solo" l'inizio. Tutti gli psicologi dopo la laurea si specializzano ulteriormente con Master, Corsi di Formazione post Universitari e, per chi vuole diventare psicoterapeuta, Scuole di Specializzazione in Psicoterapia. La formazione di uno psicologo continua per tutta la vita, anche dopo la specializzazione, con corsi di aggiornamento annuali che tutti gli psicologi sono obbligati, per legge, a sostenere, in quanto professionisti sanitari. Cosa fa lo Psicologo? Ci tengo a sottolineare che la professione di Psicologo è regolamentata a livello nazionale dalla Legge n. 56/89. Per capire quali sono gli atti tipici della professione di Psicologo cito il primo articolo della Legge: “La professione di Psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità.” E compie tutte queste attività attraverso il suo strumento principale di lavoro, che è il colloquio, la parola. Oltre che, ovviamente, con strumenti quali i test ed i questionari con caratteristiche di scientificità. Nell'immaginario comune lo psicologo è il "dottore con il lettino". No! Quello è lo psicoterapeuta, e ci arriveremo dopo. Lo psicologo, tramite la formazione universitaria e post universitaria, si può specializzare in molti ambiti e quindi, oltre allo psicologo clinico, troviamo lo psicologo scolastico, il neuropsicologo, l o psicologo sociale, lo psicologo dello sport, l o psicologo del lavoro, l o psicologo forense o criminologo, l o psicologo dello sport, il sessuologo... Di conseguenza, potrete ora immaginare che gli psicologi lavorano in un'infinità di settori: troviamo psicologi infatti nelle scuole, nei consultori, negli ospedali, nelle società sportive, nelle Rsa, nelle comunità terapeutiche, nelle carceri, negli hospice, nelle aziende... I settori sono davvero moltissimi. Lo psicologo prescrive farmaci? No, i farmaci possono essere prescritti solo da un Medico. PSICOTERAPEUTA Per esercitare la psicoterapia lo Psicologo, dopo il percorso che vi ho descritto precedentemente, deve obbligatoriamente specializzarsi frequentando una Scuola di Specializzazione in Psicoterapia, che ha una durata di 4 o 5 anni e che prevede un'adeguata formazione, sia teorica che pratica. Cosa fa lo Psicoterapeuta? L’attività dello Psicoterapeuta si caratterizza per offrire al paziente un percorso di cura per affrontare le diverse forme di sofferenza psicologica, da quelle più lievi a quelle più gravi. L o psicoterapeuta è il dottore con il lettino? Ni. Il setting terapeutico con il lettino è tipico di un tipo di psicoterapia, quella psicanalitica, che però è solo una fra molte. Ad oggi gli approcci psicoterapeutici (e di conseguenza le Scuole di Psicoterapia) sono moltissime: ericksoniana ipnotica (che è il mio approccio terapeutico), cognitivo comportamentale, psicanalitica, sistemico relazionale, psicodinamica, bioenergetica, della Gestalt, analisi transazionale ecc... Da non dimenticare che lo Psicoterapeuta può essere uno Psicologo o un Medico. Le scuole di psicoterapia sono infatti aperte ad entrambe le figure professionali. PSICOANALISTA Nel linguaggio comune il termine psicanalista (o analista) viene erroneamente usato per indicare chiunque pratichi un’attività psicoterapeutica. Come spiegavo poco fa l o psicanalista è invece uno psicoterapeuta che esercita la propria pratica clinica basandosi su un preciso approccio di riferimento, appunto quello psicoanalitico, che affonda le sue radici nella teoria Freudiana e si distingue da altre forme di psicoterapia, ad esempio, per regole del setting (frequenza e durata delle sedute, modalità di interazione terapeuta-paziente) e per strategie di intervento. PSICHIATRA Lo psichiatra è un medico che dopo essersi laureato in Medicina e Chirurgia, si è specializzato in Psichiatria . Essendo un medico può prescrivere farmaci e richiedere e valutare esami clinici. Cosa fa lo Psichiatra? La psichiatria è la branca specialistica della medicina che si occupa dello studio, della prevenzione, della cura e della riabilitazione dei disturbi mentali e dei comportamenti patologici. Lo psichiatra è naturalmente in grado di porre diagnosi riguardo a tutti i disturbi psicopatologici. Valuta la sintomatologia e il decorso clinico e propone una cura che può indirizzarsi verso un intervento farmacologico e/o psicoterapeutico. Lo psichiatra, in quanto medico, può anche avere una formazione psicoterapeutica. In tal caso avrà il titolo aggiuntivo di psichiatra e psicoterapeuta. La legge italiana consente agli psichiatri di avere il titolo di psicoterapeuta su semplice richiesta all’Ordine professionale. Questo, di fatto, non garantisce, come invece è per gli psicologi, che lo psichiatra-psicoterapeuta abbia frequentato una scuola di specializzazione quadriennale in psicoterapia. Lo psichiatra è libero di valutare, in scienza e coscienza, se e quale percorso formativo effettuare. NEUROPSICHIATRA INFANTILE Il Neuropsichiatra Infantile è un Medico specializzato in Neuropsichiatria Infantile. La Neuropsichiatria Infantile è una branca specialistica della medicina che si occupa dello sviluppo neuropsichico e dei suoi disturbi, neurologici e psichici, nell'età fra zero e diciotto anni. Cosa fa il Neuropsichiatra Infantile? Si occupa di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle patologie neurologiche, neuropsicologiche e psichiatriche che possono manifestarsi durante l’infanzia e l’adolescenza. T ratta problemi di varia natura quali disturbi del linguaggio e dell’apprendimento, ritardi dello sviluppo psicomotorio, autismo, sindromi genetiche rare, paralisi cerebrali infantili, disturbi da deficit di attenzione e/o iperattività, epilessia, disturbi emotivo/comportamentali e relazionali a tipica insorgenza in età evolutiva. ...E LE FIGURE NON " PSI- "? Ci sono poi una serie di altre figure in cui potreste imbattervi durante la ricerca di uno Psi. Fate attenzione però. Non sono professioni sanitarie, e quindi non richiedono una formazione universitaria nè post universitaria complessa come quelle che vi ho descritto in questo articolo. Sto parlando dei counselor, life coach, ecc. Iniziamo col dire che queste non sono professioni regolamentate: non esistono requisiti minimi necessari per fare il counselor, nessuna normativa di riferimento, nessun percorso formativo obbligatorio, né obbligo per il professionista di iscrizione ad un albo professionale. In tale quadro normativo chiunque può definirsi coach o counselor senza chiedere permessi o dimostrare alcuna formazione particolare. Cos'è il counseling? Il counseling è una relazione professionale che aiuta a raggiungere obiettivi di benessere, educativi e lavorativi. Il termine è utilizzato come sinonimo di “consulenza psicologica” ed è utilizzato per indicare attività di sostegno, orientamento, intervento, prevenzione, promozione del benessere, riabilitazione, psicoterapia. Dopo una lunga diatriba istituzionale che si è chiusa nel 2018, il counseling è stato riconosciuto fra gli atti tipici della professione di Psicologo: fare counseling senza essere iscritti all’Ordine degli Psicologi è abuso professionale ( cit. Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi ). In sostanza, le principali differenze fra le figure Psi- e non-Psi sono due: non vi è dubbio che la prima grande differenza sia data dalla formazione professionale: mentre per lo psicologo e per il medico come minimo sono richiesti 6 anni e mezzo circa di formazione universitaria (e altri 4 per diventare psicoterapeuta), per queste professioni non ne è richiesta alcuna. la seconda differenza è la presenza di un codice deontologico, che per gli psicologi e i medici è obbligatorio e regolamenta la professionalità, pubblicità, promozione, etica professionale e gestione del cliente. Per le altre professioni non esistono codici, ma attestati di qualità rilasciati da associazioni private che certificano i propri studenti o affiliati. Fonti: www.ipsico.it www.psicologi.fvg.it www.silviagazzotti.it www.psy.it
Autore: Elena Notaristefano 3 aprile 2021
Il Training Autogeno è una tecnica di rilassamento molto potente sviluppata negli anni Trenta dallo psichiatra tedesco Johannes Heinrich Schultz, utilizzata oggi in svariati ambiti soprattutto per il controllo dello stress, per la gestione delle emozioni, per migliorare la concentrazione e nel trattamento dei disturbi di origine psicosomatica. Negli anni il Training Autogeno è stato sottoposto a numerosissime verifiche sperimentali ed ha avuto un'enorme diffusione in tutto il mondo. COME FUNZIONA? Da un punto di vista etimologico Training significa “addestramento, allenamento, formazione, esercizio” mentre Autogeno “che si genera da sé”. Partiamo dunque dal chiederci: cos’è che, nella tecnica del Training Autogeno, la persona riesce a generare da sé attraverso gli esercizi? Si genera la cosiddetta “commutazione autogena”, cioè un cambiamento psicofisico che produce nel soggetto delle vere e proprie modificazioni fisiologiche e psichiche. In tal senso è limitante considerare il training autogeno solo come una tecnica di rilassamento: il rilassamento generato dalla pratica è solo il primo gradino di un percorso più articolato che può condurre ad un miglioramento della performance in molte attività, aiuta a sciogliere le tensioni e ad eliminare molte disfunzioni psichiche e comportamentali E' importante sottolineare un grande vantaggio del T.A.: nell'arco di poche settimane la persona sarà in grado di apprendere la tecnica e di utilizzarla al bisogno, senza la presenza dello psicologo! QUALI SONO I BENEFICI DEL TRAINING AUTOGENO? • Più profondo e rapido recupero di energie: il T. A. facilita la distensione, la soppressione delle tensioni, migliora la qualità del riposo permettendo un recupero veloce delle energie disperse durante le attività quotidiane, molto spesso stressanti e frenetiche. • Rilassamento e autodistensione, che avvengono tramite il rilassamento interiore; la persona apprende le modalità con le quali generare da sola stati di calma realizzando così un maggior equilibrio psicofisico. • Autoregolazione delle funzioni corporee normalmente “involontarie”, come ad esempio la circolazione sanguigna. • Miglioramento delle prestazioni: per esempio della memoria, che la persona ottiene imparando a raccogliere, distendere e controllare i propri processi mentali ed i propri pensieri incrementando il funzionamento della neocorteccia. • Diminuzione della percezione del dolore: riducendo la percezione degli eventi esterni ed indirizzando la propria attenzione su se stessi è possibile amplificare o ridurre le sensazioni provenienti dal corpo fino ad arrivare ad una vera e propria analgesia. • Aumento dell’autostima • Maggior autocontrollo QUANDO IL TRAINING AUTOGENO PUÒ AIUTARE? Il Training Autogeno è utile a tutti, sempre. Non è una tecnica di rilassamento che serve solo per chi sta male, ma anche a chi sta bene, per ritrovare giovamento, benessere, armonia, equilibrio psico-fisico, migliorare il rapporto interpersonale, di coppia e ad avere una visione più positiva dei problemi. E' utile per affrontare le ansie, le tensioni a casa o al lavoro, la paura di volare o del dentista, gli attacchi d'ansia, i momenti impegnativi della vita, gli esami scolastici o le gare sportive. Il Training autogeno ha infatti innumerevoli ambiti di applicazione: • nel lavoro: è utile per recuperare rapidamente le energie psico-fisiche, ridurre l’aggressività, migliorare l’efficienza, riattivare l’iniziativa personale, adattarsi meglio e più velocemente alla realtà; • a scuola: è utile per scaricarsi dell’ansia e dell’emotività, migliorare la capacità di concentrazione e memorizzazione, ridurre i riflessi psicosomatici, essere più sereni e distaccati dai problemi; • nello sport: è utile per aiutare lo sportivo a dare il meglio di se e a migliorare le sue prestazioni e a superare l’ansia d’attesa pre-agonistica. E' particolarmente indicato anche per svariati problemi di natura psicologica e psicosomatica, come ad esempio: • stress • ansia • disturbi del sonno • disturbi alimentari • paure e fobie • depressione • irritabilità • timidezza • senso di inferiorità
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